Istituzioni locali, educazione siberiana
Correva l’anno 2012, il mese era dicembre, e nel Parlamento ucraino, da poco rinnovato, si scatenava una rissa per la formazione dei gruppi parlamentari. Maggioranza e opposizione vennero alle mani e nella bagarre, ironia della sorte, si ritrovò anche il neoeletto ex pugile Vitali Kilitshko.
Ma quello scontro non era né il primo né l’ultimo del governo di Kiev. Lo scorso giugno i deputati se le sono date ancora una volta di santa ragione perché il presidente Viktor Ianukovich non si era presentato in aula a leggere l’annuale discorso al Parlamento.
Negli ultimi giorni, mentre in Ucraina si torna in piazza per il mancato accordo di associazione all’Unione Europea, l’educazione, quasi, siberiana delle risse politiche è arrivata anche in Italia.
Domenica scorsa in Campidoglio, durante il consiglio per l’approvazione dell’ostico Bilancio 2013, ci sono state urla fischi e schiaffi tra maggioranza e opposizione. A farne le spese è stato proprio il sindaco Ignazio Marino, colpito da una gomitata di Dario Rossin, esponente di Fratelli d’Italia, il cui intento era quello di strappare il microfono al presidente Mirko Coratti (Pd). Qualcuno ha visto nella bagarre romana l’emblema della tesissima situazione politica nazionale.
A Montecitorio, almeno in questi giorni, non si è arrivati alle mani, ma il germe dello scontro si è presto diffuso anche in altre regioni.
Ieri è stata sfiorata la rissa nel consiglio regionale umbro, mentre in quello piemontese le botte ci sono state davvero.
Matteo Renzi, così giovane e patinato da sembrare Justin Bieber
Lo sguardo è tra l’ironico e il seduttivo. La copertina è quella della versione italiana di un magazine patinato e lui non è un attore o un personaggio tv, anche se, confessa, magari, un giorno vorrebbe diventarlo. Lui è Matteo Renzi, sindaco di Firenze e, quasi certamente, prossimo segretario del Pd, questa settimana protagonista della copertina di Vanity Fair.
Fresco di vittoria nei circoli, mette a segno un’altra- a tratti incredibile-operazione comunicativa. Disciplina in cui, ormai, sembra non avere rivali. Non c’è più il giubbotto da Fonzie sfoggiato durante la discussa apparizione a Amici di Maria De Filippi, ma giacca bianca e camicia nera, incorniciate in ritratti con pose da divo e atmosfere rarefatte, anche se il set è Palazzo Vecchio.
I lettori, e soprattutto le lettrici, di Vanity Fair non sono il pubblico giovane del talent di Canale 5, né quello della domenica sera di Fabio Fazio e Matteo, camaleontico come sempre, si adatta.
Il servizio, firmato da Giovanni Di Lorenzo, direttore italiano del tedesco Die Zeit, restituisce l’immagine di un Renzi sempre attaccato ai suoi principi di rottamazione e cambiamento, ma anche più maturo, a livello di immagine e, forse, non solo. Al punto da dirsi serenamente pronto ” a fare il presidente del Consiglio”.
L’effetto finale però è quasi straniante e gli scatti mettono in secondo piano le parole, che pure toccano questioni cruciali. La forma è potente, vince sul contenuto, come spesso gli viene rimproverato.
Il bacio possibile e l’amore impossibile tra il poliziotto e la No Tav
Un attimo sospeso. Un minuto di silenzio nel frastuono, il più dolce dei gesti nel mezzo di uno scontro. In poche ore la foto del bacio tra la manifestante No Tav e il poliziotto ha fatto il giro dei media. Il simbolismo e l’estetica sono indiscutibilmente accattivanti. Lasciarsi andare al romanticismo è fin troppo facile. “Il mio unico amore è fiorito dal mio unico odio” scriveva William Shakespeare in Romeo e Giulietta. Montecchi e Capuleti come manifestanti e forze dell’ordine, sentimenti impossibili, per i secondi ancora di più.
Il bacio della Val di Susa, ovviamente, non è d’amore, ma un’iconica provocazione. Non è un momento di dolcezza in mezzo alla rivoluzione come nelle ormai celeberrime foto di Vancouver o di Gezi Park. Non sono i fiori offerti nel 1967 da Jan Rose Kasmir al soldato con il fucile spianato durante una manifestazione davanti al Pentagono contro la guerra in Vietnam.
E’ la ragazza No Tav a condurre il gioco, le sue mani sottili afferrano con piglio deciso il casco del poliziotto. Lui è giovanissimo, ha un’aria bambina, e chiude gli occhi. Quasi provasse trasporto, quasi ci credesse davvero. Ma a dividere le labbra di lui da quelle di lei c’è una visiera, che rende possibile il bacio, ma lascia impossibile l’amore. Senza questo vetro che separa, simbolo dell’ordine costituito, l’effusione non ci sarebbe mai stata. La manifestante dai capelli neri non avrebbe mai baciato davvero il poliziotto. Inutile illudersi.
Il brusco risveglio avviene per mano della stessa Jasper Baol, così si firma la protagonista dello scatto, che su Facebook scrive: “E’ sempre molto divertente vedere come vengono reinterpretate le foto. La ragazza in questione sono io, e se vi interessa, non avevo nessuna voglia di manganello, nessuna pulsione frustrata, stavo pigliando per il c… una schiera di poliziotti antisommossa, che ci impedivano la strada. Nessun messaggio di pace, anzi, questi schifosi li appenderei solo a testa in giù, dopo quello che è successo a Marta, compagna molestata e picchiata. Quindi, con buona pace dei pacifisti yuppie e “cristianotti”, sì, sono contraria alle forze dell’ordine, sì lo stavo sfottendo alla grande, sì, il fotografo è stato fortunato…”.
Parole inequivocabili che siglano la fine di ogni romanticismo. Emozione è uno dei termini più abusati di questi tempi. Forse perché se ne sente il bisogno, al punto di credere, anche solo per un attimo, alla retorica dell’amore-impossibile-che vince sull’odio.
Pubblicato su Huffington Post Il 18 novembre 2013